L’archeologia del vino svela antichi legami della Georgia con la Campania *
La storia della vite e del vino s’intreccia da millenni con le strade dell’uomo nel suo “migrare” – quando, da nomade, si spostava verso nuovi territori – modellando attività agricole, artigianali, militari, ludiche e fungendo spesso come elemento di aggregazione sociale. Le continue scoperte archeologiche rinnovano l’interesse internazionale sulla storia e sulla cultura vinicola, dalle regioni del Caucaso a Pompei, dalla Georgia, culla del primo vino rinvenuto nelle anfore, alla Campania. I miei viaggi in Georgia degli scorsi anni sono stati uno sprofondare nel “mondo antico della vite e del vino” e, nella fascinazione per gli intensi legami sociali, culturali e spirituali che legano quel popolo alla produzione vinicola. Scrutando in questa storia si scorge una sottile linea di continuità che collega il Caucaso, e in particolare la Georgia, con la Campania a partire dalle prime e rudimentali tecniche di coltivazione della vite e dai primi metodi di vinificazione sperimentati a Pompei con ambienti e attrezzi specifici.
In Georgia durante gli scavi nei siti archeologici neolitici di Shulaveris Gora e Gadachrili Gora, nel distretto di Marneuli, è stata accertata la presenza di acidi organici propri del vino sulle pareti di tipiche anfore caucasiche di argilla risalenti al 6.000 a.c., chiamate qvevri e riconosciute dall’Unesco come patrimonio intangibile dell’umanità. Seguendo le tracce archeologiche del consumo del vino, la Georgia ci riporta alla cultura greca-romana dove il vino, tra mitologia e sacralità, rappresentava un elemento essenziale di accoglienza dell’ospite nel segno dell’amicizia verso lo “straniero”: il “bere in compagnia” dei simposi e, qualche secolo dopo, dei convivi romani. Dell’accoglienza e dell’amicizia anche la cultura georgiana ci lascia in eredità il “tamada”, antichissimo rito dedicato alla cultura dell’ospite con un tradizionale banchetto il “supra”, una festa con vino, cibo e musica, dove il capotavola, o mastro di tavola “tamada”, decide a chi o a cosa dedicare brindisi “gaumargios” tra ben 38 dediche diverse. Ulteriori segni e testimonianze che ci riportano in Georgia, le troviamo lungo le pendici del Vesuvio nelle tre Ville di Cava Ranieri a Terzigno, dove è ben visibile la parte dedicata alla cantina per la produzione e conservazione del vino (Vesvinum, da cui è derivato il Lacryma Cristi) con le anfore di circa 1.000/1.200 litri interrate per la conservazione del vino, che, allora come oggi, sembrano voler sfidare il tempo. Ancora più evidenti sono le testimonianze che emergono dalla maestosa Villa Augustea, a Somma Vesuviana. Gli scavi, ancora in corso, hanno portato alla luce solo una piccolissima parte dell’intera cantina vinaria che originariamente si disponeva su circa dieci ettari di superficie per poi finire sotto due eruzioni, quella del 79 d.c. e quella del 472 d.c.. In questa grande fabbrica di vino, che produceva circa 4/500 mila ettolitri di vino, sono ben visibili alcune decine di dolii interrati per conservare il vino proprio come avveniva allora e come avviene ancora oggi in Georgia. I legami vinicoli non si limitano a Pompei e alle anfore. Il professore Attilio Scienza in un suo recente studio ha ricostruito una mappa di similitudini tra la Georgia e la provincia di Caserta, la cosiddetta “Terra di Lavoro”, non molto distante dal Vesuvio. Spostandoci poi nei pressi di Capua e dell’antica Liternum, oggi troviamo ancora vigneti ad alberata di Asprinio di Aversa, presenti da millenni nella provincia di Caserta con accertata provenienza etrusca e che ricordano chiaramente la prima rudimentale viticoltura georgiana, chiamata “maghlari”, dove la vite si allevava intrecciandola agli alberi già a partite dal IV millennio a.c. Quasi identici poi sono la scala stretta e lunga usata per la vendemmia e i tipici cesti per la raccolta delle uve da queste viti molto alte, la “fescina” tipica del casertano e il “videli” georgiano. Contaminazioni millenarie ancora tutte da decifrare di un constante migrare di culture e di popoli.
Dante Stefano Del Vecchio
The archaeology of wine reveals ancient links between Georgia and Campania
The history of vines and wine has been intertwined for thousands of years with the paths of man as he “migrated” – when, as a nomad, he moved towards new territories – shaping agricultural, artisanal, military and recreational activities and often serving as an element of social aggregation. Continuous archaeological discoveries renew international interest in wine history and culture, from the Caucasus regions to Pompeii, from Georgia, cradle of the first wine found in amphorae, to Campania. My trips to Georgia in recent years have plunged me into the “ancient world of vine and wine” and into a fascination with the intense social, cultural and spiritual ties that bind that people to winemaking. Looking into this history, there is a subtle line of continuity linking the Caucasus, and Georgia in particular, with Campania, starting with the earliest and most rudimentary techniques for the cultivation of vines and the first wine-making methods experimented in Pompeii in specific environments and with specific tools. During excavations at the Neolithic archaeological sites of Shulaveris Gora and Gadachrili Gora, in the Marneuli district, in Georgia, the presence of organic acids typical of wine was detected on the surfaces of Caucasian clay amphorae known as qvevri dating back to 6,000 B.C., recognised by UNESCO as intangible world heritage. Following the archaeological traces of wine consumption, Georgia takes us back to the Greek-Roman culture, somewhere between mythology and sacrality, in which wine represented an essential element of welcoming guests, as a sign of friendship towards “strangers”: the “drinking in company” of the symposia and, a few centuries later, of Roman conviviality. Regarding welcome and friendship, Georgian culture also bequeaths us the “tamada”, an ancient ritual dedicated to the culture of hospitality with a traditional banquet, the “supra”, a feast with wine, food and music, where the head of the table, or table master (the “tamada”, decides the recipient of the “gaumargios” toast from no less than 38 different dedications. Further signs and testimonies that take us back to Georgia can be found along the slopes of Vesuvius in the three villas of Cava Ranieri in Terzigno, where the part dedicated to the winemaking and storage cellar (Vesvinum, from which Lacryma Cristi originates) is clearly visible, with amphorae with a capacity of approximately 1,000/1,200 litres buried for storing wine, defying time now as they did all those years ago. Even more evident is the evidence that emerges from the majestic Villa Augustea in Somma Vesuviana. Ongoing excavations have brought to light only a very small part of the entire wine cellar, which originally covered an area of about ten hectares and subsequently succumbed to two eruptions, that of 79 AD and that of 472 AD. In this large wine factory, which produced some four to five hundred thousand hectolitres of wine, we can still see several dozen “dolii”, buried for storing wine as was customary then and as still happens today in Georgia.
Winemaking links are not, however, limited to Pompeii and amphorae. In one of his recent studies, Professor Attilio Scienza reconstructed a map of similarities between Georgia and the province of Caserta, the so-called “Terra di Lavoro”, not far from Vesuvius. Moving on to the area around Capua and ancient Liternum, today we can still find vineyards planted with Asprinio di Aversa which have been present in the province of Caserta for millennia. With proven Etruscan origins, they are clearly reminiscent of the first rudimentary Georgian viticulture, called “maghlari”, in which vines were trained by twisting them around trees as early as the 4th millennium BC. Then we have the almost identical long, narrow ladder used for the grape harvest and the baskets, the “fescina” typical of the Caserta area and the Georgian “videli”, used for picking grapes from these very tall vines. Thousands of years of contamination still to be deciphered in a constant migration of cultures and peoples.
Dante Stefano Del Vecchio
*testo per la pubblicazione del Calendario Di Meo 2025, Napoli – Tbilisi, La Sirena e la Pantera.