Campania al Vinitaly, forte delle sue Denominazioni premiate dal mercato 74% meglio del resto d’Italia 69%.

Il prossimo Vinitaly 2022, ultima edizione nel 2019 una epoca lontana, rimette insieme il sistema socioeconomico del vino in una mega fiera che cerca di rilanciare un modello per molti aspetti necessario, per tanti altri, vecchio e molto oneroso per le imprese. Mancassero le istituzioni a comprare spazi e quant’altro sarebbe già decaduto a fiera regionale. Non ci sono termini di riferimento storici che possano spiegare quanto e cosa è cambiato in questi ultimi due anni. La crisi non è alle mostre spalle, di sicuro siamo proiettati verso il superamento di un contesto che ha messo a dura prova le aziende del settore, costringendola a cercare nuove forme commerciali come il web. Annunciate 4.400 aziende presenti da diversi paesi e circa 700 buyer internazionali.

Per la Campania il Vinitaly è stata una sfida spesso ad alta tensione, tra allestimenti in ritardo e la comunicazione tardiva non ha aiutato i produttori ma nemmeno ha frenato la ricca e ampia proposta vinicola di una regione che vanta un importante patrimonio vitivinicolo di qualità che potrebbe avere un diverso “valore di sistema” sui mercati internazionali. Piccolo e bello, un patrimonio che stenta a crescere in termini di superfici vitate, seppur limitato dalle norme Ue non si riesce a sfruttare al meglio le disponibilità di superfici. Maggiori superfici oltre all’impatto economico, aiutano a migliorare la bellezza del paesaggio, vigneti che ridisegnano scenari già incantevoli o cancellano storture ambientali. Il vigneto costringe alla bellezza dei luoghi. Per le piccole aziende al Vinitaly, tante, il sostegno delle istituzioni rimane molto importante, forse non potrebbero altrimenti, così possono presentare i loro vini di qualità che richiamano i territori di riferimento: Cilento, Sannio, Vesuvio Campi Flegrei Ischia, Terra di Lavoro e Irpinia. Ma cosa è successo in questo ultimo e complicato periodo ce lo riporta Nomisma con alcuni dati che abbiamo chiesto da Denis Pantini, responsabile agroalimentare del centro studi e ricerca: “nel panorama vitivinicolo nazionale la Campania rappresenta una regione le cui superfici vitate incidono appena per il 4%. Ciononostante, la produzione campana presenta caratteristiche qualitative – in termini di vini Dop/Igp – superiori alla media: la produzione ad indicazione di origine certificata pesa per il 74% del totale regionale contro una media nazionale che si ferma al 69%. Anche sul fronte dell’export, i vini campani sono cresciuti sensibilmente. Nel quinquennio 2016-2021, le vendite a valore oltre frontiera dei vini della Campania sono aumentate del 38% contro un corrispondente incremento dell’export nazionale pari al 27%. Analogamente, nella GDO italiana, i vini fermi campani hanno messo a segno un aumento del 9% a valore (tra il 2019 e il 2021), con performance più elevate per i vini Dop regionali (+14%). Un dato che invece risulta inferiore alla media nazionale è quello dell’incidenza del vigneto bio sul totale regionale: 9% contro una media italiana del 18%. E questo divario sottende indubbiamente un gap da colmare (o un potenziale non sfruttato) alla luce del fatto che i vini biologici non solo sono cresciuti a doppia cifra nelle vendite in GDO negli ultimi cinque anni, ma perché il tema della sostenibilità ambientale (al cui interno il biologico ne rappresenta una declinazione importante) sta assumendo sempre più importanza nelle scelte dei consumatori sia a livello italiano che internazionale.

 

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