Falanghina, Falerno bianco e Fiano, brevi dalla Campania.

Cesco dell’Eremo. Cantine del Taburno. Una cooperativa è già un successo nelle nostre terre e nelle difficoltà come sappiamo alcuni tirano fuori produzioni divine come la Falanghina del Taburno. Tenacia e sfogo per amore di un territorio complicato ma ricco di voglia di lavorare. Dalle colline interne beneventane raccoglie le sue note di freschezza mentolata, sfumature floreali tra ginestre e agrumi. Carnosa e piena nella sua espressione esotica, una danza tra ananas banana e mela verde. Sempre una conferma, meglio negli anni.

Milavuolo, Fiano colline Salerno. Scoperta tre anni fa, sorprese per la sua struttura tagliente e intensa di affumicato corpo, fresco. E qualcuna delle 2200 bottiglie prodotte nel 2013, l’anno dopo che l’azienda aveva iniziato la produzione, ed anche bene da come si presentò, tenni da parte per verificare quale direzione evolutiva regalasse. Sette anni sulla buona strada per arricchire la sua complessità mantenendo appieno freschezza mentolata, ampiezza aromatica di camomilla, fratellanza di sauvignon blanc, e con l’età regala lievi spunti di idrocarburi. Corposa e intensa nocciola. Una gran bella sorpresa, un solo peccato, poche bottiglie che non arrivano dove troverebbero un meritato apprezzamento.

Falerno bianco. Bianchini Rossetti, con tannini graffianti e pungenti, sottile trama marina di ginestra. Freschezza di agrumi e sapidità, rendono gradevole un vino di una terra calda baciata dal non lontano mare, tra il monte Massico e il cratere di Roccamonfina. Un territorio di confine tra le stratificazioni di ceneri e masse alluvionali di tufacee del vulcano e il calcareo dolomitico del Massico. Un vino che respira storia del territorio e del piacere che regalava a consoli e centurioni romani insediati con le loro ville lungo la via regina. E come una regina c’è lei, statuaria di fianco la Reggia di Caserta, nell’eleganza e nell’abbondanza dei frutti della Terra di Lavoro.

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