Terra di Lavoro di Galardi, unico vino del Sud nella classifica dei vini da collezione

Unico vino campano, anzi meridionale, per collezionisti finito nella classifica, in base agli scambi sul mercato, di Liv-ex è il Terra di Lavoro di Galardi.

L’indice del mercato dei “vini importanti”, realizzato ogni due anni da James Miles e Justin Gibbs, segna positivamente l’andamento di questo mercato gradito a case d’asta, broker, operatori import/export: + 6,35 per cento con una significativa crescita dei prezzi medi negli ultimi due anni (incurante della pandemia), calcolo su una base di circa 16.000 etichette. La classifica, suddivisa in cinque fasce di prezzo, include 383 vini da 8 paesi con 83 vini italiani (WineNews) dove trovano facile gioco i classici e storici marchi toscani (18) e piemontesi (21). Nella selezione di fascia alta, la pattuglia italiana è guidata dal barolo Monfortino di Giacomo Conterno quotato a 8.816 sterline, seguito da Masseto con 5.716 (quotazione basata su almeno 15 scambi di almeno 5 annate e relativa ad una cassa da 12 btl). Nella quarta fascia con 30 etichette francesi, 12 italiane “erano 3 nel 2019), 4 portoghesi, 3 spagnole e una per Usa e Australia, le nostre etichette da inizio 2021 hanno fatto registrare una crescita del 3,8 per cento. In questo gruppo troviamo ai vertici il Brunello di Montalcino di Fuligni a 521 sterline, Montevertine a 502£ e da Sessa Aurunca il Terra di Lavoro a 470£. “Naturalmente non sapevo di questa classifica e siamo molto contenti di essere stati menzionati – commenta Arturo Celentano – e di portare il nostro territorio all’attenzione di broker, operatori internazionali e spero si possa trasformare anche in un valore per il vino e per tutti”.

Interessante anche le indicazioni di mercato che sono arrivate questa estate da Mediobanca. “Il 2020 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso con un calo di fatturato del 4,1% (-6,3% il mercato interno, -1,9% l’estero). L’ebit margin ha riportato una lieve contrazione arretrando al 5,8%, rispetto al 6,2% del 2019. L’incidenza del risultato netto sul fatturato ha performato bene, con una leggera variazione dal 4,2% al 4,1%. I vini frizzanti hanno perso più terreno (- 6,7%) dei vini fermi (-3,5%). Le cooperative hanno contenuto la flessione al 2%. Il canale GDO ha visto la propria incidenza salire al 38% rispetto al 35,3% del 2019 (a valore è cresciuto del +2,3%), quello Ho.Re.Ca. si contrae dal 17,9% al 13,4% (-32,7%), mentre wine bar ed enoteche passano dal 7% al 6,7% (-21,5%). L’online è esploso durante la pandemia: +74,9% le vendite sui portali web di proprietà, +435% per le piattaforme online specializzate, +747% i marketplace generalisti. Nel 2020 gli investimenti nel digital dei maggiori produttori di vino sono aumentati del 55,8%, a fronte di un calo del 14,3% degli investimenti complessivi e del 13,4% della spesa pubblicitaria. Le imprese con fatturato 2020 in aumento hanno venduto vino base (meno di 5 euro) per il 70,8% del loro fatturato; quota che scende al 52,6% all’interno del gruppo di imprese con vendite in calo. Ma lo spostamento verso segmenti più alti appare solo rinviato a quando si assesteranno gli stili di consumo post pandemici.  Sugli scudi il bio, con vendite 2020 in aumento del 10,8%, per una quota di mercato del 2,3%; tiene il vino vegan (+0,5%, anch’esso al 2,3% del totale). Non fanno ancora presa i vini biodinamici, in caduta del 21,9% e confinati allo 0,1% del mercato. Infine, il 2020 ha portato uno sviluppo del 5,8% per i vini confezionati in contenitori alternativi al vetro (brick, lattine, bag in box), leggeri, ecosostenibili, adatti all’online e in linea con l’interesse per le novità delle giovani generazioni. I maggiori produttori di vino si attendono per il 2021 una crescita del 3,5%, che arriverebbe al 4,6% per la sola componente export. Per le maggiori società di spirits, si prevede un anno con vendite in crescita del 5,4% e del 4% per le esportazioni. Vino e Spirits: propensione al consumo internazionale. La mappa mondiale della propensione al consumo di vino e di spirits rivela che il rapporto maggiormente emancipato con il rito del bere è appannaggio dei Paesi di matrice anglofona (Australia, Gran Bretagna e Usa), con sporadiche incursioni di alcuni Paesi dell’Est europeo (Serbia e Polonia, con la Russia più arretrata) e del Nord del moondo (Canada e Svezia). La Cina emerge come un mercato aperto e tollerante. La core Europe appare ben allineata in posizione intermedia con Germania, Francia e Italia che mostrano livelli simili di accettazione. Più problematico l’atteggiamento nel Sud e Sud Est del mondo, con la sola importante eccezione del Sud Africa. In generale la propensione al consumo di vino è superiore a quello degli spirits. Export italiano. Nel biennio 21-22 si attende un aumento dei consumi di vino del 3,8% l’anno per molti tra i principali mercati. Per i due grandi importatori di vino italiano la crescita media annua è del 2% per gli USA e del 3,1% per la Germania. In Svizzera i consumi di vino sono attesi stabili. Discorso a parte per il Regno Unito: crescita del 2,4% l’anno, ma prospettive complicate dagli sviluppi post Brexit. Opportunità possono arrivare da mercati già noti al vino italiano: Canada e Giappone segnano un consumo atteso in forte crescita (+5,9% annuo per entrambi). Ma è la Cina a mostrare uno dei maggiori potenziali con un +6,3% annuo nel biennio 2021-22. Una curiosità: il Vietnam, mercato ancora molto piccolo, ma che annovera una rilevante crescita dei consumi (+9,6%), anche grazie agli accordi commerciali con l’UE che proteggono le indicazioni geografiche e riducono le tariffe e i dazi.  Le esportazioni italiane di vini e spirits valgono il 30% delle nostre vendite di alimenti e bevande oltreconfine e ammontano a 7,8 miliardi di euro nel 2020. Il comparto proviene da una crescita pluriennale: +6,3% medio annuo per i vini nel periodo 2010-19, che sale addirittura al +9,7% per gli spirits. Il 2020 ha segnato una frenata: l’export di vini si è contratto del 2,3%, quello di spirits del 6,8%. Nel 2020 l’export di vino italiano vale 6,3 miliardi di euro e si stappa in prevalenza sulle tavole statunitensi (23,1% del totale), tedesche (17,1%) e britanniche (11,4%). Il 2020 ha consegnato variazioni differenziate: le nostre vendite sono in flessione negli Stati Uniti (-5,6%) e in UK (-6,4%), mentre si è mossa in controtendenza la Germania (+3,9%). La pandemia ha colpito pesantemente gli spumanti (-6,9%). Più modesto l’export italiano generato dal comparto degli spirits, che vale 1,5 miliardi di euro e ha nell’Europa la destinazione privilegiata (60,4% del totale) e due mercati di sbocco preferenziali, Stati Uniti e Germania, che fanno il 40% del totale. Nel 2020 lo sviluppo del mercato statunitense (+21,5%) ne ha fatto il primo approdo per le vendite oltreconfine di spirits italiane, scalzando dal primo gradino del podio la Germania (+3,5%).

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