I tratti di una natura selvaggia ed esuberante la scorgi lungo quel reticolato di strade strette tutte curve che rasentano spigoli di muretti e che si arrampicano tra abitazioni, magazzini, fabbriche, ville antiche e moderne, orti, vigne. Il Vesuvio come la sua Napoli è “un paradiso abitato da diavoli” ad un passo dal fuoco della lava, dal respiro di quella montagna con due teste, ad un passo dal cono del cratere vivono radicati da secoli diverse centinaia di migliaia di abitanti che dal suo cratere tirano fuori di tutto, oltre i numerosi vitigni: pomodorini del piennolo rosso e giallo, albicocche, limoni, susine, fichi e le numerose verdure.
Disordine e caos urbanistico regnano in un indistinto senza respiro, salvo pietrificarsi davanti alla bellezza che ti incanta quando volgi lo sguardo sul panorama del golfo di Napoli, Capri, Ischia Costiera sorrentina. Dopo il Sannio, il Vesuvio Dop. Caprettone, Lacryma Chisti, Piedirosso e Catalanesca, vitigni che da secoli adornano le falde del cratere dai fossati inondati da filari abbandonati fino a straordinari vigneti eroici, estremi per condizioni pedoclimatiche strappati all’incuria e divenuti giardini di bacco. Una buona giornata con il Consorzio del Vesuvio, con i 97 vini in degustazione incontrando e parlando con alcune delle sue aziende. Diverse le soprese venute dai vitigni Catalanesca e Caprettone, dopo anni mostrano un volto elegante, sapido e gradevoli da bere. Salutiamo con particolare piacere il recupero in acciaio per la loro limpidezza e finezza. Ed anche per il Lacryma Christi conferme di un lavoro che fa emergere il territorio, meno individualismi produttivi volgono verso una linearità produttiva identitaria del loro “terroir”, di quella terra nera vulcano striata di rosso dal ferro che ne stratifica nei secoli le colate. Note aromatiche ampie, sapidità e limpidezza, persistenza e buona acidità rimandano a pensare che sarebbero da provare con alcuni anni di bottiglia.